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Lunedì, 25 Giugno

Bonicelli: l’Eucaristia, potenza della risurrezione operante nella storia

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È la terza volta che il COP viene a Orvieto per la sua Settimana di aggiornamento pastorale. Lo ricorda, in apertura dei lavori di questa 62ª edizione, l’arcivescovo emerito di Siena, mons. Gaetano Bonicelli. "Nel 1963 la tredicesima delle Settimane COP, celebrata qui nel settimo centenario del miracolo, aveva per tema: Il sacramento eucaristico nella comunità cristiana. Era appena cominciato il Concilio Vaticano II e la Costituzione Sacrosantum Concilium vedrà la luce solo nel 1964". La seconda, invece, nel 1990, e "il tema era ispirato alla scelta della CEI per l’ultimo decennio del secolo: Parrocchia: dall’Eucaristia la solidarietà". Comunque, "al di là del luogo e dei titoli, si può ben dire che quasi tutte le Settimane hanno centrato il tema eucaristico come elemento primario della pastorale".

E questa Settimana? "L’eucaristia per la vita del mondo – sottolinea l’arcivescovo – non è un’intuizione del momento attuale, ma una qualificazione che Cristo in persona ha espresso già nella promessa del sacramento", "è la potenza della risurrezione operante nella storia". Diceva il beato Giovanni Paolo II nella lettera pasquale ai vescovi e al clero nel 1980: "Il culto eucaristico non è tanto culto dell’inaccessibile trascendenza, quanto culto della divina condiscendenza, ed è anche misericordiosa e redentrice trasformazione del mondo nel cuore dell’uomo". E un altro recente beato, Giuseppe Toniolo, parlando al Congresso eucaristico internazionale di Vienna nel 1912: "Tutte le riforme e tutti i progressi sociali, in questo momento di laicismo sistematico, si vogliono fare senza e contro il sovrannaturale. Noi ammettiamo e proponiamo che il soprannaturale ne è il principio, il mezzo… il fine; e precisamente il sovrannaturale incarnato, reale, vivente, operante nell’Eucaristia; e sopra questa pertanto noi incardiniamo la riforma interiore delle anime, con la restaurazione della società".

 

Villata: una rigenerazione pastorale

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Una rigenerazione pastorale che ri-qualifichi l’offerta più che lamentare la povertà della domanda. Così Giovanni Villata, responsabile del Centro studi e documentazione della diocesi di Torino, chiamato ad argomentare, con dati alla mano, sulle principali tendenze circa la frequenza alla Messa, alla Comunione, alla Confessione e la preghiera personale degli italiani, ha invitato a guardare al futuro, rincuorato da quella fascia minoritaria di credenti che, anche grazie a percorsi inediti, hanno raggiunto un livello più adeguato di consapevolezza dei contenuti della propria vocazione cristiana e tentano di tradurli nella vita quotidiana.

Villata mostra come nell’odierno contesto socioculturale, in cui non c’è più una religione egemone, ritenuta unica depositaria della verità, le parole spiritualità e preghiera siano presenti con connotazioni diverse, ma tutto ciò non sfocia in una vita eticamente più corretta, bensì in un realizzarsi dell’individuo (anche il rapporto con l’altro è visto nella prospettiva dello stare bene con se stessi). Circa la preghiera, aggiunge: “Esiste sempre il pericolo di costruire una preghiera personale come frutto di una disordinata contaminazione di elementi religiosi provenienti da tradizioni diverse: una specie di self spirituality che sfugge ad ogni controllo non solo di un’istituzione, ma anche della persona stessa”.

Dal punto di vista della pastorale, Villata, suggerisce tre attenzioni prioritarie e strategiche: la liturgia, spazio che irrompe nel nostro modo abituale di vivere e che trasforma i rapporti con Dio e fra di noi; l’appartenenza, per superare autoreferenza e autosufficienza e costruire ambienti in cui la fede sia vissuta e vissuta insieme; gli adulti veri e la famiglia perché i giovani vedano e tocchino modelli per il futuro.

In tutto questo occorre essere vigili e accorgersi che esiste una distonia di comunicazione tra domanda e offerta: ciò richiama il problema dell’inculturazione della fede e dell’evangelizzazione della cultura. La domanda del cardinale Montini, poi divenuto Paolo VI, è attuale: “A che serve annunciare delle verità importanti per la vita delle persone se le persone non le comprendono?”.