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Sigalini: le prospettive pastorale

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Che cosa ci portiamo via da questa settimana di aggiornamento? Con quali attese abbiamo iniziato? Volevamo soprattutto riporre al centro della nostra vita di cristiani e delle nostre comunità l’Eucaristia in senso profondamente ecclesiale a partire da una riscoperta della Adorazione Eucaristica di tante nostre parrocchie o chiese. Lo abbiamo voluto fare a Orvieto, dove tra poco inizierà un giubileo che ricorda i 750 anni dal miracolo di Bolsena e dalla istituzione della festa del Corpus Domini per tutta la cattolicità. Lo abbiamo fatto a contatto con la fede dei secoli, di coloro che hanno vissuto prima di noi e ci hanno lasciato memorie eccelse della loro esperienza credente. Vita, arte, storia e cultura si sono intrecciate per aiutarci a riscoprire il centro della nostra fede. L’Eucaristia per la vita del mondo non è una intuizione del momento attuale ma una qualificazione che Cristo in persona ha espresso già nella promessa del sacramento. «Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6, 51). Tutti i nostri ragionamenti rischiano di essere devianti se non partiamo da questa visione di fede. L’Eucaristia è la potenza della risurrezione operante nella storia. Essa assegna a coloro che la frequentano un cammino di risurrezione. Il futuro del mondo, ma di un mondo nuovo, la Chiesa come il cristiano sa di possederlo già nell’Eucaristia. Fin dalla lettera pasquale ai vescovi e al clero nel 1980, Papa Giovanni Paolo II aveva precisato: «Il culto eucaristico non è tanto culto dell’inaccessibile trascendenza, quanto culto della divina condiscendenza, ed è anche misericordiosa e redentrice trasformazione del mondo nel cuore dell’uomo». (Bonicelli) Siamo partiti da una lettura del contesto socio religioso in cui stiamo vivendo per collocare le nostre intenzioni, la adorazione e la celebrazione eucaristica in un campo di realizzabilità, di sfida da accettare e di proposta da offrire. E’ in atto un vero e proprio processo di “scomposizione-ricomposizione” non solo della fede. In altre parole, si agisce come se si scomponesse un puzzle (o un disegno) di chiesa, di fede, di persona … e poi, al momento della ricomposizione, non si riescono più ad incastrare i pezzi perché, gli stessi, nel frattempo, sono stati ritagliati su un altro disegno (una diversa chiesa, una diversa fede, una diversa persona …). Si stanno scomponendo (ossia smontando) gli elementi che definivano una realtà come la pastorale, i ruoli e i compiti attribuiti ai ministri ordinati: quale prete dunque, quale diacono permanente, quale laico … ma la ricomposizione non è più univoca e in sintonia con il magistero ecclesiastico. C’è una tendenza che disorienta un po’ tutti, ma soprattutto che rende più problematico di quanto già non sia di per se stesso, l’incontro e il dialogo fra le generazioni, la comunicazione della fede, lo stesso ripartire da una fede comune e condivisa come è stata consegnata alla Chiesa e dalla Chiesa trasmessa (Villata), La Chiesa stessa vive una situazione di “transizione”. Da un lato, è consapevole di dover abbandonare le forme tradizionali della sua azione pastorale e, dall’altro, percepisce con chiarezza di non essere ancora riuscita ad individuare forme nuove che intercettino le domande della post modernità in una rinnovata fedeltà al Messaggio da trasmettere. A complicare questo momento di passaggio c’è la diminuzione piuttosto consistente del numero dei praticanti, delle risorse di clero e di laici – segnatamente di quelle che tradizionalmente hanno rappresentato il suo punto di forza - le famiglie e i giovani. Non c’è aria di resa, ma di fatica, una certa ansia da sopravvivenza, che incidono sulla qualità dell’evangelizzazione; La qualità della pratica religiosa appare più vera fra i credenti (in minoranza) che hanno raggiunto un livello più adeguato di consapevolezza dei contenuti della propria vocazione cristiana e che tentano di tradurli nella vita quotidiana. E’ piuttosto insignificante la qualità della pratica di chi si dichiara credente cattolico per ascendenze famigliari, per dovere, per l’educazione ricevuta ai tempi della fanciullezza, ecc. Questa tendenza vale anche per il rapporto con la fede e l’appartenenza alla Chiesa. Proprio anche sotto queste sfide noi abbiamo deciso di offrire proposte contemplando i segni che Dio nell’Eucaristia ci ha donato e che abbiamo colto nella loro bellezza come li hanno percepiti e tramandati gli artisti che hanno costruito la cappella del corporale del duomo di Orvieto. Ci siamo lasciati provocare dalle immagini, dalla vita, dalle tracce che la fede ha costruito in tempi lontani. Nella cappella del corporale siamo stati aiutati a portare la nostra riflessione sui miracoli eucaristici e la nostra contemplazione su un chiaro programma mistagogico, prevalentemente scritturistico, che illustra la grande riflessione simbolica, patristica e medievale sull’eucaristia. Tutto inizia con l’ultima cena con l’istituzione dell’Eucaristia. Chi si dispone a riflettere sul sacramento eucaristico viene invitato a volgere la mente alle parole e ai gesti di Gesù, che, mentre offre il pane eucaristico a Pietro, dice: «Prendete e mangiate, questo è il mio corpo» (Mt 26,26). Il discorso di Gesù nella sinagoga di Cafarnao, ci offre tutte le intenzioni e la visione di Gesù sull’Eucaristia: «Io sono il pane vivo che discende dal cielo (Gv 6,41b) chi mangia questo pane vive in eterno (cf. Gv 6,58)», la mia carne è vero cibo, e il mio sangue vera bevanda» (Gv 6,55). La cena ebraica, i sacrifici della prima alleanza assumono il loro valore profetico e si inverano nella carne e nel sangue di Cristo, offerti in sacrificio per la nostra salvezza. Sacrifici antichi e sacrifico nuovo sono messi a confronto, nel gioco delle analogie e delle reciproche implicazioni, in una concezione profondamente unitaria in cui lo spezzare il pane si compie insieme all’apertura delle scritture e viceversa. Tutto sfocia nella celebrazione dell’eucaristia che vede la Chiesa degli apostoli celebrare la cena del Signore. Questa volta è Pietro, ben riconoscibile per le chiavi deposte, sull’altare, che distribuisce la comunione ai discepoli, cominciando da Maria, madre e tipo della Chiesa. La Chiesa fa l’eucaristia e l’eucaristia fa la Chiesa. Siamo stati condotti a vivere il mistero eucaristico, a partecipare a tutta la storia della salvezza, a ripercorrere il passato della preparazione e fare memoria del compimento che apre al futuro escatologico.

Come va accostata questa eucaristia? Un altro passo che siamo stati aiutati a fare è quello degli atteggiamenti da coltivare nell’accostare l’Eucaristia. L’avvertimento più severo è offerto dall’apostolo Paolo che ci dice senza mezzi termini: (I Cor 11,28-29): «Ciascuno pertanto esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice, chi mangia e beve indegnamente mangia e beve la sua condanna». Accanto a questo cartiglio viene ritratto un penitente che celebra il sacramento della confessione. San Tommaso d’Aquino ha grande parte in tutta questa presentazione dell’Eucaristia. Il culmine è la domanda che viene rivolta a San Tommaso da un Crocifisso: «Hai scritto bene di me, Tommaso», cui segue una domanda di Gesù e una risposta del santo: «Quale ricompensa vuoi? Signore non desidero nessuna ricompensa se non Te solo». Finalmente, purificati dalle esortazioni, motivati dalle promesse ricevute e preparati a ricevere il dono eucaristico, possiamo immergerci di nuovo nella storia sacra che, attraverso prefigurazioni veterotestamentarie, illustra sempre più chiaramente il mistero a cui ci stiamo accostando. L’eucaristia viene pensata e vissuta non solo come la presenza reale del corpo di Cristo, come il corpo nel mistero, ma come corpo nel mistero della passione. È il corpo mediante il quale si comunica con la passione del Signore o, meglio, con tutto il mistero pasquale: non a caso al lato della crocifissione sta sulla sinistra in basso la raffigurazione della sepoltura di Gesù, sulla destra, quella del Cristo risorto, scene in cui al centro dell’attenzione è ancora il corpo del Signore. La partitura pittorica invita il fedele a percorrere, rivedendola nella celebrazione, la storia della salvezza fino al suo culmine, il mistero pasquale considerato nella sua interezza, passione, morte e risurrezione. Il martoriato corpo di Gesù Crocifisso è tra i due ladroni, Gesù è sempre segno di contraddizione, segno di salvezza o di rovina, di fronte al quale l’uomo è chiamato a prendere posizione, e non vi è altra possibilità: o riconoscere il proprio peccato invocando misericordia, o chiudersi nell’incredulità. Così il corpo nel mistero diventa segno di contraddizione, corpo di contraddizione come lo è il corpo crocifisso, invitando a una decisione di fede viva che renda partecipi della gloria del Risorto. Siamo sollecitati ad affidarci alla realtà del sacramento: l’«oggi» salvifico del testo evangelico potrà allora risuonare di nuovo per il fedele, in ogni eucaristia che lo unisce al corpo pasquale di Cristo: «oggi sarai con me in Paradiso» (Filippini) L’Eucaristia come è posta nella chiesa primitiva ci dice anche la necessità di una apertura, di uno scioglimento di tutti i legami comodi e di tutti i muri che ci costruiamo in difesa dal mondo. Pone la parola fine a esoterismi o conventicole. Far parte di una chiesa che celebra l’eucaristia non deve mai farci pensare a una famiglia chiusa, a una collocazione predominante di maschi su femmine, a un ghetto qualsiasi. E’ finita la legge del primato della circoncisione che metteva la donna in un evidente secondo piano. Sono le donne che vivacizzano le chiese primitive nelle case. Il cristiano che vive l’eucaristia si sghettizza, come l’hanno fatto i primi cristiani, che hanno cambiato lingua, riti, luoghi di incontro e di celebrazione, uscendo dai rigidi paletti dell’ebraismo per offrire i doni di Dio a tutti. La fede, l’amore di Dio, la salvezza si è diffusa nelle case, nei luoghi di convivenza, nei fori e nei mercati. Regna una fraternità che si acquista mangiando a una mensa comune.Eucaristia è uscire, rispondere al bisogno delle folle. (Virgili) L’Eucaristia quindi è sorgente della vita e della attività ecclesiale, ha la capacità di plasmare la vita e l’azione e quindi orientare l’esistenza dei cristiani, l’Eucaristia fa la chiesa. Dobbiamo ridirci con forza che la Chiesa è stata fondata, come popolo di Dio, nella comunità apostolica dei 12 che durante l’ultima cena sono divenuti partecipi del corpo e sangue del Signore sotto le specie del pane e del vino. La precedenza non solo cronologica, ma anche ontologica dell’averci amato per primo è all’origine della Chiesa. Da qui è utile riproporre alla nostra contemplazione che l’Eucaristia è banchetto, sacrificio, presenza reale.

Eucaristia: banchetto o convito. C’è una fondamentale componente di un amore che condivide, di una compagnia, della necessità di approfondire amicizia e relazione, di mettersi uno accanto all’altro a prendere assieme parte a un pasto come lo furono tutte le moltiplicazioni dei pani e dei pesci, anticipazioni dell’ultima cena. Questo pasto ha una valenza escatologica perchè ”chi mangia la mia carne ha la vita eterna”. E’ un banchetto pubblico aperto a tutti i credenti e alle moltitudini. Nei primi secoli l’eucarestia era celebrata nelle case e in seguito nelle basiliche, cioè in luoghi pubblici di incontro e di scambio. Niente del tempio antico o dei luoghi appartati e sacri. Verrà Paolo a dire esplicitamente che la partecipazione all’Eucaristia fonda la solidarietà dei credenti, non solo, ma il corpo di Cristo eucaristico rende presente il corpo di Cristo Crocifisso e risorto che da forma e vita alla chiesa, trasformando in corpo di Cristo i fedeli che si nutrono di questo pane e questo vino. Quindi non solo amicizia, relazione o anche fede comune, ma soprattutto partecipazione allo stesso pane e allo stesso vino, divenuti Corpo e sangue di Cristo. Proprio il contesto di Orvieto e Bolsena ci torna a regalare questo legame stretto tra l’Eucaristia e la chiesa che sono ciascuno nella sua univocità vero corpo di Cristo. Occorre che superiamo il distacco tra Eucaristia e chiesa. Quindi mettere al centro l’Eucaristia nelle nostre prassi pastorali non può assolutamente essere ridotto a una devozione, ma deve sempre andare al cuore del nostro essere chiesa. Se dimentichiamo questa origine eucaristica la chiesa torna ad essere vista come una società. Da qui deriva che per essere il corpo di Cristo non ci basta condividere il pane dell’altare, ma occorre condividere anche il pane quotidiano. La solidarietà è una qualità dell’essere prima che una applicazione morale.

Eucaristia è sacrificio e espiazione. L’essere per dell’Eucaristia, che è l’essere per di Gesù, il suo atteggiamento sacrificale diventa l’essere per della chiesa, educa a una amore che non è solo attrazione, ma prima di tutto donazione. Che eucaristia richiami sempre il carattere sacrificale dell’offerta di Gesù ci fa uscire da qualsiasi riduzione sentimentale di ogni amore e lo connota della caratteristica di dono fino alla fine, per sempre, senza remore o riserve. Questo ci permette di vivere più a fondo alcuni momenti della messa. L’offertorio che esprime il sacerdozio che possiede ogni battezzato, che consiste nell’offerta della propria vita a Dio, delle proprie risorse, della sua stessa fragilità perché sia assunta nel sacrificio perfetto di Gesù. La consacrazione che è l’assunzione della povera offerta umana nell’offerta di sé di Gesù e il suo portare a compimento il nostro sacerdozio battesimale. Il fate questo in memoria di me ci obbliga ad assumere il servizio come forma alta di vita cristiana. E dopo la consacrazione ogni cristiano può offrire il dono che è Gesù al Padre, perché Gesù nella messa è un dono per tutti.

Presenza reale: un amore che c’è. Io sono con voi tutti i giorni, non dice di un ricordo, di una parola ascoltata, ma una presenza vera nel pane e nel vino. I linguaggi della istituzione non sono simbolici, ma reali. L’adorazione eucaristica mette in risalto tutto questo, ma sarebbe un delitto che la staccassimo dalla celebrazione eucaristica che innesca la realtà concreta nei simboli. Questa presenza reale diventa fondamento della presenza della chiesa nella società e dice di una amore, quello del cristiano che si preoccupa di esserci, non di mandare un assegno alla caritas, di condividere, di prendere i tratti del sale, del lievito e del seme (castellucci). E’ presenza reale, non solo sacramentale, come nella Parola, negli altri sacramenti della vita cristiana.

L’Eucaristia forza della vita di ogni giorno. Da tutto questo trova significato una esperienza d’amore come quella della famiglia che si porta dentro i significati precisi di fatica, di pazienza, di perdono, di percorso comune che sono assunti dalla stessa esperienza sacrificale della Eucaristia, dall’essere dono fino alla consumazione. Allora diventa vero nutrimento, diventa luogo di confronto sulla sensatezza di quello che viviamo, facciamo, operiamo nella società, nel lavoro, nella piccola e grande imprenditoria, diventa orizzonte di speranza nelle difficoltà. Diventa dono inesauribile per una famiglia che pone nell’amore il suo fondamento, in Cristo che si dona alla Chiesa la sua immagine operante nei rapporti d’amore, nel suo corpo e nel suo sangue il nutrimento e la forza per vincere l’egoismo. Diventa sostegno e traccia di percorso per chi nel mondo mette a disposizione il suo tempo, il suo genio, la sua operatività per creare lavoro e per essere con coraggio, col coraggio del dono fino al sangue, contro la corrente accattivante del successo o dell’intrigo, un cristiano che fa dell’Eucaristia la scelta di condivisione e di alzare gli occhi al cielo quotidiana. Si possono costruire comunità di persone che fanno dell’Eucaristia la loro costante ispirazione, nel lavoro educativo, nel mondo delle relazioni di solidarietà, nella vita religiosa, nello sforzo di costruire persone mature, nel costruire percorsi eucaristici di educazione alla vita, alla convivenza pacifica e solidale, alla piena maturità umana. Si può educare a divenire persone eucaristiche che sanno fare della vita un ringraziamento sostanziale e che vivono nel dono e nella gratuità. Allora la caritas non è una associazione di distribuzione viveri, ma cuore dell’eucaristia che ogni giorno si celebra, strada eucaristica di condivisione, di solidarietà, di comunione, di liberazione da catene di povertà e di miseria.

Dall’eucaristia l’impegno per il rinnovamento della società, nel segno della comunione e della solidarietà in un’etica di servizio, all’insegna della permanente riforma e della speranza più grande

La Chiesa dovrà celebrare nella storia il memoriale del suo Signore: questa è la sua ragion d’essere e il suo compito, l’unico cui è propriamente chiamata in vista del servizio da rendere al rinnovamento della comunità degli uomini e alla salvezza del mondo. Si fa memoriale, non come ricordo di un passato, ma come il farsi contemporaneo di un evento passato per azione della potenza divina attualizzatrice: come l’evento che sommamente esprime e realizza la missione della Chiesa: celebrando il memoriale del Signore, la comunità cristiana si rende disponibile all’azione dello Spirito, che rende presente nella diversità dei tempi e dei luoghi l’evento di salvezza, oggetto della buona novella. Senza la costante attenzione alla dimensione eucaristica e contemplativa della vita, che faccia spazio all’irruzione sempre gratuita e sorprendente dello Spirito, nessun rinnovamento della società e del cuore umano potrà essere autentico e duraturo. Una cultura e una società rinnovate non nasceranno che da una profonda e costante esperienza eucaristica, nutrita di ascolto, di rendimento di grazie e di contemplazione Il rinnovamento culturale e sociale sgorgante dall’eucaristia non potrà essere prodotto se non da chi - muovendo dalla comune partecipazione alla mensa del Signore - opera secondo l’ispirazione di un’etica della comunione e della solidarietà: lì dove prevalesse la logica dell’interesse “particulare”, lì dove si dimenticasse l’esigenza morale di servire e promuovere tutto l’uomo in ogni uomo, specialmente nelle fasce sociali più deboli, il rinnovamento si limiterebbe a operazione di facciata, senza fondamento e credibilità. Nessun rinnovamento sociale si darà veramente senza operatori coraggiosi pronti a vivere la politica e l’impegno per gli altri come carità, ispirata a una logica rigorosa di gratuità e allo spirito del servizio, e pronta a pagare anche il prezzo più alto piuttosto che cedere al compromesso egoistico di un potere perseguito soltanto per se stesso. Il rinnovamento culturale e sociale di cui avvertiamo il bisogno si offre come il frutto della speranza più grande, capace di costituire una sorta di riserva critica nei confronti di tutte le miopi realizzazioni mondane e di sostenere l’impegno di una continua riforma, che non si appaghi dei risultati raggiunti, non ceda all’estasi dell’adempimento e alla seduzione del possesso, ma viva la costante ricerca di un bene più grande per ciascuno e per tutti. (Forte)

 

COP: lettera ai parrocchiani che non vivono l'Eucaristia

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Cari parrocchiani,

sappiamo che da un po’ di tempo nella vostra parrocchia non si celebra più la Messa ogni giorno e pure qualche domenica. Sappiamo anche che per motivi di decoro, perché siete isolati in paesi piccoli e sperduti, i vostri preti non vi lasciano nella chiesa nemmeno la presenza reale di Gesù: hanno paura dei furti, di vandalismi, di comportamenti sacrileghi.

Non sapete che cosa vi state perdendo! O non credete che Gesù Cristo è presente realmente nell’eucaristia e così vi perdete una compagnia e un “io ci sto sempre con voi nel mio corpo e nel mio sangue”, oppure credete che sia superflua la presenza eucaristica perché già voi ascoltate Gesù leggendo la sua Parola, lo vivete come centro del vostro amore in famiglia, lo ritenete compagno affidabile nelle vostre malattie tramite la preghiera.

Non sapete che la presenza di Gesù nell’eucaristia è unica e necessaria? Questo corpo spezzato e questo sangue versato è il mio, è il segno che se hai contratto dei debiti con Dio nella tua vita te li ho pagati io. Non credere mai che Dio sia un padrone crudele che s’aspetta una riparazione o di aggiungere un sacrificio per ripagarne un’altro. Tu però non puoi fare a meno di presentarti rinnovato, libero senza debiti di male davanti a Lui. Questa mia presenza è unica perché se in tavola non c’è un pane come fanno a stare unite le persone, a star bene? Si guardano solo? Si parlano solo? O hanno bisogno di mettere qualcosa sotto i denti? Mangiare assieme lo stesso pane che è il mio corpo unisce infinitamente più di tanti sentimenti e ragionamenti.

Ricordiamocelo vicendevolmente che non sono i nostri progetti, le nostre riunioni e nemmeno le nostre programmazioni a dare e fare corpo alle comunità, ma è il corpo di Cristo, è l’eucaristia come amore e sacrificio che fa la comunità e che solo quando si condivide e si spezza il pane nasce e prende vita la comunione.

Una parrocchia senza Messa non è una parrocchia povera solo perché non c’è un prete che celebra, ma è privata di quella comunione che Dio Padre sa offrire come irruzione nelle nostre logiche ristrette con la logica eucaristica che apre alla contemplazione e chiede testimonianza. La vita della vostra parrocchia è l’eucaristia. La parrocchia si spegne e muore quando progetta senza contemplare l’agire di Dio; troverà sempre la sua vitalità quando si porrà in ginocchio per adagiare davanti all’eucaristia la vita a tutto tondo. Di qui nasce la testimonianza capace di generare relazioni, quell’amare, servire, donare nella gratuità, senza presentare scontrini e ricevute di rimborsi spese, perché ci si è spesi per gli altri, il che è proprio lo stile eucaristico.

Nessuno si sogna di dire “non abbiamo più la Messa e allora siamo più liberi!”. Se alla farina manca il lievito il pane non si forma e se a voi stessi e alla società nostra manca il sale di adoratori in spirito e verità saremo tutti più soli, poveri, chiusi nei nostri profili di Facebook. Come i fratelli e le sorelle colpiti in questo periodo dal terremoto al fianco dei loro pastori sentiamoci sempre pellegrini di quel Dio che vuole fare eucaristia con noi, per noi, in noi.

Non possiamo non chiederci, allora, quante nostre energie sono spese nel fare a scapito del ben celebrare, dell’adorare che abbia il sapore della vita e la vita che riflette ciò che si è adorato. Voi per primi ve ne accorgete quando i progetti della parrocchia sono un prolungamento della contemplazione davanti all’Eucaristia. Siamo il corpo di Cristo proprio perché celebriamo l’Eucaristia e la mettiamo al centro della nostra vita ogni giorno.

Gli innamorati dell’Eucaristia